Il fascino dell’imperfezione: Venere di Milo

Il fascino dell’imperfezione: Venere di Milo

A volte accade che siano proprio i difetti a rendere un’opera d’arte ancora più celebre ed è ciò che accaduto per la Venere di Milo.

La storia del suo ritrovamento è collegata agli ideali di restaurazione monarchica del sovrano francese Luigi XVIII desideroso di ricostruire l’immagine di grandezza del regno.

Per questo motivo, il sovrano, organizzò una spedizione con la nave Chevrette che aveva il compito si sondare idrograficamente il Mar Egeo.

L’ufficiale francese Voutier sull’isola di Milo (o Milos in greco – Cicladi) nella zona del capoluogo di Plaka si imbattè in un contadino, Yorgos Kentrotas, che stava scavando a ridosso di una zona comprendente un tempio greco.

L’8 aprile del 1820 il contadino e l’ufficiale non credettero ai loro occhi quando dalla terra emerse una scultura priva di entrambe le braccia ed a poca distanza un secondo pezzo con le gambe avvolte in un drappeggio sorrette su di un basamento.

La statua fu acquistata dall’agente consolare Brest per conto dell’ambasciatore francese a Costantinopoli, il marchese de Rivière, e da questi offerta a Luigi XVIII che la donò al Louvre nel 1821.

Giunta al Louvre si aprì una accanita discussione tra i diversi archeologi-restauratori sul come restaurarla.

La disputa fu risolta dal sovrano stesso che decise di non re-integrare i pezzi mancanti seguendo quelle che erano le idee di Quatremère de Quency, segretario dell’Accademia di Belle Arti.

Il corpo ignudo della dea si erge con un movimento di leggera torsione, il braccio destro deve essere stato restaurato nell’antichità, mentre quello sinistro è completamente perduto.

Il piede destro è stato scolpito separatamente dal plinto, ed è stato inserito posteriormente.

Le dense pieghe del drappeggio hanno in particolare la funzione di nascondere la giuntura tra i due blocchi sovrapposti.

La sensuale torsione del busto ed il realismo dei dettagli identificano la scultura come un’opera ellenistica del periodo di transizione tra il II e il I secolo a.C.

In essa si sono volute scorgere molte figure mitologiche e la più accreditata è quella di un Afrodite (Venere) divinità nata dalla spuma del mare.

Non si conosce quale episodio mitologico della vita di Afrodite rappresenterebbe. Per alcuni sarebbe una raffigurazione della Venus Victrix che reca il pomo dorato a Paride, idea che ben si accorderebbe con il nome dell’isola del ritrovamento: milos in lingua greca indica per l’appunto una mela.

Il fascino è fenomeno imprendibile e non ha nulla a che vedere né con la perfezione né con la bellezza. (Umberto Eco)

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